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GIORNO 6 DI 7

IO E IL MIO LUNA PARK

Quando avevo 8 anni, per me dio era una bambina di quinta A.

Il tempo passò (la cotta pure) e a 13 anni dio era decisamente la mia BMX freestyle. A 16 la fidanzatina aveva la mia devozione, mentre a 18 la “company”, un chiassoso gruppo di coetanei con cui il tempo non passava mai. A 20, complice la necessità di vederci chiaro sul mio futuro, costruii un altare al dio “successo”: lavoravo di giorno e studiavo di notte, sarei diventato un reporter di guerra di fama mondiale. Iniziai a viaggiare molto, lavorando anche all’estero, misi piede in moschee, templi buddisti e induisti, incrociai persone dalle credenze più disparate e feci sempre domande, mantenendomi aperto. Nel frattempo, non posso dire di non aver cercato “Qualcuno lassù”, anzi la mia ricerca fu chiara: lessi da solo la Bibbia per 12 anni, ma lo schianto con Gesù arrivò più tardi.

Perché questa digressione personale?

Beh, ha a che vedere con una lezione che imparai molti anni dopo, quando ormai amavo già Cristo con tutto il mio cuore e servivo nella missione Porte Aperte. Mi trovavo nel nord-est della Nigeria, scenario di massacri di cristiani, anzi per la precisione, la regione dove negli ultimi anni sono stati uccisi più cristiani al mondo. Territorio di violenze dei Boko Haram e degli allevatori Fulani, questo lembo di terra era (ed è) avvolto nell’oscurità, una coltre di terrore incombe, dove migliaia sono i cristiani massacrati ogni anno, mentre decine di migliaia fuggono e vivono in campi profughi improvvisati. Il nostro pick-up Toyota si inerpicò in ampi dossi di terra gialla, in un villaggio polveroso che prendeva la forma di una grossa cittadina incastonata in mezzo a un paio di leggere colline. Le case erano di fango e pietra gialla: a dire il vero tutto era giallo, poiché la polvere si infilava ovunque, smossa da un vento caldo, che di quando in quando schiaffeggiava quella terra risvegliandola dal torpore del calore africano. Ci inoltrammo in un quartiere misto cristiano e musulmano: presto iniziammo a vederle. Non erano le prime che vedevo, ma erano così tante che un brivido mi percorse la schiena: case bruciate, con un’incerta e assurda scritta bianca sulle pareti che diceva “Non è in vendita”. Varie e uguali si alternavano a case in perfetto stato, come se un incendio senziente avesse avvolto il quartiere selezionando solo alcune case e risparmiandone altre.

“Quelle bruciate sono di cristiani. Le altre no. La scritta è un messaggio di protesta del tipo: Anche se ci date fuoco, non ce ne andremo, ci disse il nostro partner locale. Il brivido si trasformò in sussulto. Eravamo nel cuore di una zona calda, dove la comunità cristiana, un tempo maggioritaria, ora subiva costanti attacchi. Arrivammo a destinazione e scesi dal pick-up un po’ nervoso: davanti a me una chiesa dalle mura annerite. Dentro era piena e si udivano canti di lode a Dio. No, le voci non erano sommesse, erano fiere e in quel momento gridavano: Gesù è il nostro Signore. Capii che era un canto a Dio, ma era anche un monito agli aggressori, cittadini dello stesso quartiere. Realizzai che avevo ancora molto da imparare sulla teologia della sofferenza. Fui invaso dalla musica quando entrai in quella chiesa: non me ne ero accorto prima, era priva del tetto, andato distrutto dal fuoco, così come i muri erano neri. Il nostro amico mi lesse il pensiero:

“Qualche settimana fa, una folla è arrivata qui ha sprangato le porte, chiudendo dentro il pastore e un paio di membri di chiesa presenti in quel momento. Hanno dato fuoco a tutto. Sono bruciati vivi. Ora è Jacob il pastore”, affermò lapidario indicando un ragazzo che presiedeva l’incontro e ci accoglieva con un sorriso.

Difficile dire l’età di Jacob, ma a spanne avrei detto 25 anni. Il culto fu qualcosa di sconvolgente e potente al tempo stesso. Potevo sentire l’odio dei nemici là fuori e l’amore degli amici lì dentro. Quanto ancora dovessi capire sul costo del discepolato era evidente dal mio stato d’animo: ero disorientato.

Jacob era il responsabile dei giovani fino all’assassinio del pastore.

“Non hai paura?”, gli chiesi alla fine del culto, dopo un breve tempo insieme.

“Certo”, rispose in un sussurro, fissando il vuoto. Ci fu un lungo silenzio. Non avevo ancora imparato il valore del silenzio, tendevo a riempire tutti gli spazi, come accade in molte chiese dove l’assenza di voci umane è percepita come una mancanza di maturità dei membri: ma non avevo parole grazie a Dio, così tacqui.

“Ma non faremo un passo indietro”, riprese dopo un po’ guardandomi fisso negli occhi.

Nemmeno per un istante mi sembrò un eroe della Marvel. Pensai piuttosto a un ribelle. La speranza di fatto è un atto di ribellione in un mondo come il suo. Era in guerra, ma lui sperava in qualcosa di più alto o, meglio, in Qualcuno di più forte.

“Parlami delle sfide della chiesa in Italia”, mi chiese all’improvviso. Così iniziai a parlargli dell’apatia, del benessere, dell’ansia, della rabbia, della generazione scomparsa e di quella distratta, un bla bla bla di 5 minuti circa. Jacob mi ascoltò annuendo e poi se ne uscì con questa perla:

“È come se noi fossimo nell’oscurità più fitta. La luce di Cristo è là, brillante, ma se ti distrai un attimo puoi perdere la via. Voi, invece, è come se foste in un luna park, tra un sacco di luci, colori, musica e profumi. E la luce di Cristo è là, ma se non rimani fisso su di lei, è un attimo perdere la via”.

SBADAM!

Siamo immersi in una battaglia spirituale.

L’oscurità non ha bisogno di distruggerci.

Le basta distrarci.

Scritto da Cristian Nani

Giorno 5Giorno 7

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Tratto dal libro "Indomabili, 40 Meditazione Interattive per Incendiare il Tuo Cuore" di Antonio Morra e Cristian Nani. C’è un disperato bisogno, oggi più che mai, di una generazione audace e coraggiosa per il Regno di ...

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Vorremmo ringraziare Noi Siamo La Rivoluzione per aver fornito questo piano. Per ulteriori informazioni, visitare: https://www.noisiamolarivoluzione.com/

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