Atti degli Apostoli 23:6-35
Atti degli Apostoli 23:6-35 Nuova Riveduta 2006 (NR06)
Ora Paolo, sapendo che una parte dell’assemblea era composta di sadducei e l’altra di farisei, esclamò nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; ed è a motivo della speranza e della risurrezione dei morti che sono chiamato in giudizio». Appena ebbe detto questo, nacque contesa tra i farisei e i sadducei, e l’assemblea si trovò divisa. Perché i sadducei dicono che non vi è risurrezione, né angelo né spirito, mentre i farisei affermano tutte queste cose. Ne nacque un grande clamore; e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi, protestarono dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo; e se gli avesse parlato uno spirito o un angelo?» Poiché il contrasto andava crescendo, il tribuno, temendo che Paolo fosse fatto a pezzi da quella gente, comandò ai soldati di scendere e di portarlo via di mezzo a loro, e di condurlo nella fortezza. La notte seguente il Signore gli si presentò e disse: «Fatti coraggio, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma». Quando fu giorno, i Giudei ordirono una congiura e, con imprecazioni contro se stessi, fecero voto di non mangiare né bere finché non avessero ucciso Paolo. Ora quelli che avevano fatto questa congiura erano più di quaranta. Si presentarono ai capi dei sacerdoti e agli anziani e dissero: «Abbiamo fatto voto, scagliando l’anatema contro noi stessi, di non mangiare nulla finché non abbiamo ucciso Paolo. Perciò voi con il sinedrio presentatevi al tribuno per chiedergli di condurlo giù da voi, come se voleste conoscere più esattamente il suo caso; e noi, prima che egli arrivi, siamo pronti a ucciderlo». Ma il figlio della sorella di Paolo, venuto a sapere dell’agguato, corse alla fortezza, ed entrato riferì tutto a Paolo. Paolo, chiamato a sé uno dei centurioni, disse: «Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualcosa da riferirgli». Egli lo prese e lo condusse dal tribuno, e disse: «Paolo, il prigioniero, mi ha chiamato e mi ha pregato di condurti questo giovane, che ha qualcosa da dirti». Il tribuno lo prese per mano e, appartatosi con lui, gli domandò: «Che cosa hai da riferirmi?» Ed egli rispose: «I Giudei si sono messi d’accordo per pregarti che domani tu riconduca giù Paolo nel sinedrio, come se volessero informarsi meglio del suo caso; ma tu non dar retta a loro, perché più di quaranta uomini dei loro gli tendono un agguato e, con imprecazioni contro se stessi, hanno fatto voto di non mangiare né bere finché non lo abbiano ucciso; e ora sono già pronti, aspettando il tuo consenso». Il tribuno dunque congedò il giovane, dopo avergli comandato: «Non parlare con nessuno di quanto mi hai svelato». Poi, chiamati due centurioni, disse loro: «Tenete pronti fin dalla terza ora della notte duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri, per andare fino a Cesarea; e abbiate pronte delle cavalcature per farvi montare su Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice». Scrisse anche una lettera del seguente tenore: «Claudio Lisia, all’eccellentissimo governatore Felice, salute. Quest’uomo era stato preso dai Giudei e stava per essere ucciso da loro, quando sono intervenuto con i soldati e l’ho liberato dalle loro mani, avendo saputo che era cittadino romano. Volendo sapere di che cosa lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio. Ho trovato che era accusato per questioni relative alla loro legge, ma che non era incolpato di nulla che fosse meritevole di morte o di prigione. Però mi è stato riferito che si tendeva un agguato contro quest’uomo; perciò l’ho subito inviato da te, ordinando anche ai suoi accusatori di dire davanti a te quello che hanno contro di lui». I soldati dunque, com’era stato loro ordinato, presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipatrìda. Il giorno seguente lasciarono partire i cavalieri con lui e ritornarono alla fortezza. Quelli, giunti a Cesarea e consegnata la lettera al governatore, gli presentarono anche Paolo. Egli lesse la lettera e domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era di Cilicia, gli disse: «Ti ascolterò meglio quando saranno giunti anche i tuoi accusatori». E ordinò che fosse custodito nel palazzo di Erode.
Atti degli Apostoli 23:6-35 Nuova Riveduta 1994 (NR94)
Or Paolo, sapendo che una parte dell'assemblea era composta di *sadducei e l'altra di *farisei, esclamò nel Sinedrio: Fratelli, io son fariseo, figlio di farisei; ed è a motivo della speranza e della risurrezione dei morti, che son chiamato in giudizio. Appena ebbe detto questo, nacque contesa tra i farisei e i sadducei, e l'assemblea si trov¢ divisa. Perché i sadducei dicono che non vi è risurrezione, né angelo, né spirito; mentre i farisei affermano l'una e l'altra cosa. Ne nacque un grande clamore; e alcuni *scribi del partito dei farisei, alzatisi, protestarono, dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest'uomo; e se gli avesse parlato uno spirito o un angelo?» Poiché il contrasto andava crescendo, il *tribuno, temendo che Paolo fosse fatto a pezzi da quella gente, comandò ai soldati di scendere e di portarlo via di mezzo a loro, e di condurlo nella fortezza. La notte seguente, il Signore si presentò a Paolo e gli disse: «Fatti coraggio; perché come hai reso testimonianza di me a *Gerusalemme, cosí bisogna che tu la renda anche a Roma». Quando fu giorno, i Giudei ordirono una congiura, e con imprecazioni contro sé stessi fecero voto di non mangiare né bere finché non avessero ucciso Paolo. Or quelli che avevano fatto questa congiura erano piú di quaranta. Si presentarono ai capi dei *sacerdoti e agli *anziani, e dissero: «Abbiamo fatto voto, scagliando l'anatema contro noi stessi, di non mangiar nulla finché non abbiamo ucciso Paolo. Perciò voi con il sinedrio presentatevi al tribuno per chiedergli di condurlo giú da voi, come se voleste conoscere piú esattamente il suo caso; e noi, prima ch'egli arrivi, siamo pronti a ucciderlo». Ma il figlio della sorella di Paolo, venuto a sapere dell'agguato, corse alla fortezza, ed entrato riferí tutto a Paolo. Paolo, chiamato a sé uno dei *centurioni, disse: «Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualcosa da riferirgli». Egli lo prese e lo condusse dal tribuno, e disse: «Paolo, il prigioniero, mi ha chiamato e mi ha pregato di condurti questo giovane, che ha qualcosa da dirti». Il tribuno lo prese per mano e, appartatosi con lui, gli domandò: «Che cosa hai da riferirmi?» Ed egli rispose: «I Giudei si sono messi d'accordo per pregarti che domani tu riconduca giú Paolo nel sinedrio, come se volessero informarsi meglio del suo caso; ma tu non dar retta a loro, perché piú di quaranta uomini di loro gli tendono un agguato e con imprecazioni contro sé stessi hanno fatto voto di non mangiare né bere, finché non lo abbiano ucciso; e ora sono già pronti, aspettando il tuo consenso». Il tribuno dunque congedò il giovane, dopo avergli raccomandato di non parlare con nessuno di quanto gli aveva svelato. Poi, chiamati due centurioni, disse loro: «Tenete pronti fin dalla terza *ora della notte duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri, per andare fino a *Cesarea; e abbiate pronte delle cavalcature per farvi montare su Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore *Felice». Scrisse anche una lettera del seguente tenore: «Claudio Lisia, all'eccellentissimo governatore Felice, salute. Quest'uomo era stato preso dai Giudei, e stava per essere ucciso da loro, quando sono intervenuto con i soldati e l'ho liberato dalle loro mani, avendo saputo che era cittadino romano. Volendo sapere di che cosa lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio. Ho trovato che era accusato per questioni relative alla loro legge, ma che non era incolpato di nulla che fosse meritevole di morte o di prigione. Però mi è stato riferito che si tendeva un agguato contro quest'uomo; perciò l'ho súbito inviato da te, ordinando anche ai suoi accusatori di dire davanti a te quello che hanno contro di lui». I soldati dunque, com'era stato loro ordinato, presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipatrída. Il giorno seguente lasciarono partire i cavalieri con lui e ritornarono alla fortezza. Quelli, giunti a Cesarea e consegnata la lettera al governatore, gli presentarono anche Paolo. Egli lesse la lettera e domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era di Cilicia, gli disse: «Ti ascolterò meglio quando saranno giunti anche i tuoi accusatori». E ordinò che fosse custodito nel palazzo di *Erode.
Atti degli Apostoli 23:6-35 Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (ICL00D)
Paolo sapeva che i membri del tribunale ebraico erano di idee diverse: alcuni erano *sadducei e altri *farisei. Perciò esclamò dinanzi a loro: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei e mi vogliono condannare perché spero nella risurrezione dei morti». Queste parole di Paolo fecero scoppiare un contrasto tra i farisei e i sadducei, e l’*assemblea si trovò divisa. I sadducei infatti dicono che i morti non risorgono e che non esistono né *angeli né spiriti. I farisei invece credono a tutte queste cose. Ci fu dunque una grande confusione. Poi alcuni *maestri della Legge appartenenti al partito dei farisei si alzarono e protestarono: «Noi non troviamo nulla di male in quest’uomo. Non potrebbe darsi che uno spirito o un *angelo gli abbia parlato?». A questo punto il contrasto si fece tanto forte che il comandante ordinò ai soldati di scendere nell’assemblea per portare via Paolo e ricondurlo in fortezza. Temeva infatti che Paolo venisse fatto a pezzi. La notte seguente il Signore apparve a Paolo e gli disse: «Coraggio! Tu sei stato mio testimone a Gerusalemme: dovrai essere mio testimone anche a Roma». La mattina dopo, alcuni Ebrei si riunirono per organizzare una congiura contro Paolo, e giurarono di non toccare né cibo né bevanda fino a quando non lo avessero ucciso. Quelli che avevano partecipato a questa congiura erano più di quaranta. Essi andarono dai capi dei *sacerdoti e dai capi del popolo e dissero: «Noi ci siamo impegnati con solenne giuramento a non mangiare nulla finché non avremo ucciso Paolo. Voi dunque, d'accordo con il tribunale ebraico, dite al comandante di portarvi qui Paolo. Il pretesto potrebbe essere questo: che voi volete esaminare un po’ meglio il suo caso. Noi intanto ci terremo pronti a ucciderlo prima che egli arrivi qui». Ma un nipote di Paolo venne a sapere qualcosa di questa congiura. Perciò andò alla fortezza, entrò e informò Paolo. Allora Paolo chiamò uno degli ufficiali e gli disse: — Accompagna questo ragazzo dal comandante; egli ha qualcosa da dirgli. L’ufficiale lo prese con sé, lo portò dal comandante e gli disse: — Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha pregato di accompagnare da te questo giovane perché ha qualcosa da dirti. Il comandante prese per mano quel giovane, si ritirò in disparte e gli domandò: — Che cosa hai da dirmi? Egli rispose: — Gli Ebrei, tutti d'accordo, ti domanderanno di condurre Paolo domani davanti al loro tribunale con il pretesto di esaminare più accuratamente il suo caso. Tu però non crederci perché ci sono più di quaranta Ebrei che stanno preparando un tranello a Paolo. Essi hanno giurato di non mangiare né bere prima di averlo ucciso. E ora sono già pronti, in attesa che tu lo faccia uscire dalla fortezza. Allora il comandante gli raccomandò: — Non raccontare a nessuno le cose che mi hai detto! Poi lo lasciò andare. Il comandante fece chiamare due ufficiali e disse loro: «Tenete pronti per stasera alle nove duecento soldati, settanta cavalieri e duecento uomini armati di lance: dovranno andare fino a Cesarèa. Preparate anche alcuni cavalli per trasportare Paolo: egli deve arrivare sano e salvo dal governatore Felice». Poi scrisse anche una lettera che pressappoco diceva: «Claudio Lisia saluta Sua Eccellenza il governatore Felice. Quest’uomo che io ti mando, lo hanno arrestato gli Ebrei. Stavano per ammazzarlo, quando intervenni con le mie guardie. Venni a sapere che era cittadino romano e lo liberai. Volendo sapere perché gli Ebrei lo accusavano lo condussi davanti al loro tribunale. Ho potuto stabilire che contro quest’uomo non c’erano accuse degne di morte o di prigione: si trattava solo di questioni che riguardano la loro *Legge. Tuttavia sono venuto a sapere che gli Ebrei stavano preparando una congiura contro di lui: perciò te l’ho mandato subito. Nello stesso tempo faccio sapere a quelli che lo accusano che devono rivolgersi a te». Con questi ordini, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte fino alla città di Antipàtride. Il giorno dopo lasciarono partire con lui soltanto i cavalieri. Gli altri tornarono alla fortezza. I cavalieri arrivarono a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono anche Paolo. Il governatore lesse la lettera e domandò a Paolo in quale provincia era nato. Paolo gli rispose: — Sono originario della Cilicia. Allora Felice disse: — Ti ascolterò quando saranno qui anche quelli che ti accusano. Poi comandò di rinchiudere Paolo nel palazzo di Erode.
Atti degli Apostoli 23:6-35 Diodati Bibbia 1885 (DB1885)
Or Paolo, sapendo che l'una parte era di Sadducei, e l'altra di Farisei, sclamò nel concistoro: Uomini fratelli, io son Fariseo, figliuol di Fariseo; io son giudicato per la speranza, e per la risurrezione de' morti. E, come egli ebbe detto questo, nacque dissensione tra i Farisei, e i Sadducei; e la moltitudine si divise. Perciocchè i Sadducei dicono che non vi è risurrezione, nè angelo, nè spirito; ma i Farisei confessano e l'uno e l'altro. E si fece un gridar grande. E gli Scribi della parte de' Farisei, levatisi, contendevano, dicendo: Noi non troviamo male alcuno in quest'uomo; che se uno spirito, o un angelo, ha parlato a lui, non combattiamo contro a Dio. Ora, facendosi grande la dissensione, il capitano, temendo che Paolo non fosse da loro messo a pezzi, comandò a' soldati che scendessero giù, e lo rapissero del mezzo di loro, e lo menassero nella rocca. E la notte seguente, il Signore si presentò a lui, e gli disse: Paolo, sta' di buon cuore, perciocchè, come tu hai resa testimonianza di me in Gerusalemme, così convienti renderla ancora a Roma. E, QUANDO fu giorno, certi Giudei fecero raunata, e sotto esecrazione si votarono, promettendo di non mangiare, nè bere, finchè non avessero ucciso Paolo. E coloro che avean fatta questa congiura erano più di quaranta; i quali vennero a' principali sacerdoti, ed agli anziani, e dissero: Noi ci siamo sotto esecrazione votati di non assaggiar cosa alcuna, finchè non abbiamo ucciso Paolo. Or dunque, voi comparite davanti al capitano col concistoro, pregandolo che domani vel mani, come per conoscer più appieno del fatto suo; e noi, innanzi ch'egli giunga, siam pronti per ucciderlo. Ma il figliuolo della sorella di Paolo, udite queste insidie, venne; ed entrato nella rocca, rapportò il fatto a Paolo. E Paolo, chiamato a sè uno de' centurioni, disse: Mena questo giovane al capitano, perciocchè egli ha alcuna cosa da rapportargli. Egli adunque, presolo, lo menò al capitano, e disse: Paolo, quel prigione, mi ha chiamato, e mi ha pregato ch'io ti meni questo giovane, il quale ha alcuna cosa da dirti. E il capitano, presolo per la mano, e ritrattosi in disparte, lo domandò: Che cosa hai da rapportarmi? Ed egli disse: I Giudei si son convenuti insieme di pregarti che domani tu meni giù Paolo nel concistoro, come per informarsi più appieno del fatto suo. Ma tu non prestar loro fede, perciocchè più di quarant'uomini di loro gli hanno poste insidie, essendosi sotto esecrazione votati di non mangiare, nè bere, finchè non l'abbiano ucciso; ed ora son presti, aspettando che tu lo prometta loro. Il capitano adunque licenziò il giovane, ordinandogli di non palesare ad alcuno che gli avesse fatte assaper queste cose. Poi, chiamati due de' centurioni, disse loro: Tenete presti fin dalle tre ore della notte dugento soldati, e settanta cavalieri, e dugento sergenti, per andar fino in Cesarea. Disse loro ancora che avessero delle cavalcature pronte, per farvi montar su Paolo, e condurlo salvamente al governatore Felice. Al quale egli scrisse una lettera dell'infrascritto tenore: Claudio Lisia, all'eccellente governatore Felice: salute. Quest'uomo, essendo stato preso dai Giudei, ed essendo in sul punto d'esser da loro ucciso io son sopraggiunto coi soldati, e l'ho riscosso, avendo inteso ch'egli era Romano. E, volendo sapere il maleficio del quale l'accusavano, l'ho menato nel lor concistoro. Ed ho trovato ch'egli era accusato intorno alle quistioni della lor legge; e che non vi era in lui maleficio alcuno degno di morte, nè di prigione. Ora, essendomi state significate le insidie, che sarebbero da' Giudei poste a quest'uomo, in quello stante l'ho mandato a te, ordinando eziandio a' suoi accusatori di dir davanti a te le cose che hanno contro a lui. Sta' sano. I soldati adunque, secondo ch'era loro stato ordinato, presero con loro Paolo, e lo condussero di notte in Antipatrida. E il giorno seguente, lasciati i cavalieri per andar con lui, ritornarono alla rocca. E quelli, giunti in Cesarea, e consegnata la lettera al governatore, gli presentarono ancora Paolo. E il governatore, avendo letta la lettera, e domandato a Paolo di qual provincia egli era, e inteso ch'egli era di Cilicia, gli disse: Io ti udirò, quando i tuoi accusatori saranno venuti anch'essi. E comandò che fosse guardato nel palazzo di Erode.