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FATTI DEGLI APOSTOLI 23:6-35

FATTI DEGLI APOSTOLI 23:6-35 DB1885

Or Paolo, sapendo che l'una parte era di Sadducei, e l'altra di Farisei, sclamò nel concistoro: Uomini fratelli, io son Fariseo, figliuol di Fariseo; io son giudicato per la speranza, e per la risurrezione de' morti. E, come egli ebbe detto questo, nacque dissensione tra i Farisei, e i Sadducei; e la moltitudine si divise. Perciocchè i Sadducei dicono che non vi è risurrezione, nè angelo, nè spirito; ma i Farisei confessano e l'uno e l'altro. E si fece un gridar grande. E gli Scribi della parte de' Farisei, levatisi, contendevano, dicendo: Noi non troviamo male alcuno in quest'uomo; che se uno spirito, o un angelo, ha parlato a lui, non combattiamo contro a Dio. Ora, facendosi grande la dissensione, il capitano, temendo che Paolo non fosse da loro messo a pezzi, comandò a' soldati che scendessero giù, e lo rapissero del mezzo di loro, e lo menassero nella rocca. E la notte seguente, il Signore si presentò a lui, e gli disse: Paolo, sta' di buon cuore, perciocchè, come tu hai resa testimonianza di me in Gerusalemme, così convienti renderla ancora a Roma. E, QUANDO fu giorno, certi Giudei fecero raunata, e sotto esecrazione si votarono, promettendo di non mangiare, nè bere, finchè non avessero ucciso Paolo. E coloro che avean fatta questa congiura erano più di quaranta; i quali vennero a' principali sacerdoti, ed agli anziani, e dissero: Noi ci siamo sotto esecrazione votati di non assaggiar cosa alcuna, finchè non abbiamo ucciso Paolo. Or dunque, voi comparite davanti al capitano col concistoro, pregandolo che domani vel mani, come per conoscer più appieno del fatto suo; e noi, innanzi ch'egli giunga, siam pronti per ucciderlo. Ma il figliuolo della sorella di Paolo, udite queste insidie, venne; ed entrato nella rocca, rapportò il fatto a Paolo. E Paolo, chiamato a sè uno de' centurioni, disse: Mena questo giovane al capitano, perciocchè egli ha alcuna cosa da rapportargli. Egli adunque, presolo, lo menò al capitano, e disse: Paolo, quel prigione, mi ha chiamato, e mi ha pregato ch'io ti meni questo giovane, il quale ha alcuna cosa da dirti. E il capitano, presolo per la mano, e ritrattosi in disparte, lo domandò: Che cosa hai da rapportarmi? Ed egli disse: I Giudei si son convenuti insieme di pregarti che domani tu meni giù Paolo nel concistoro, come per informarsi più appieno del fatto suo. Ma tu non prestar loro fede, perciocchè più di quarant'uomini di loro gli hanno poste insidie, essendosi sotto esecrazione votati di non mangiare, nè bere, finchè non l'abbiano ucciso; ed ora son presti, aspettando che tu lo prometta loro. Il capitano adunque licenziò il giovane, ordinandogli di non palesare ad alcuno che gli avesse fatte assaper queste cose. Poi, chiamati due de' centurioni, disse loro: Tenete presti fin dalle tre ore della notte dugento soldati, e settanta cavalieri, e dugento sergenti, per andar fino in Cesarea. Disse loro ancora che avessero delle cavalcature pronte, per farvi montar su Paolo, e condurlo salvamente al governatore Felice. Al quale egli scrisse una lettera dell'infrascritto tenore: Claudio Lisia, all'eccellente governatore Felice: salute. Quest'uomo, essendo stato preso dai Giudei, ed essendo in sul punto d'esser da loro ucciso io son sopraggiunto coi soldati, e l'ho riscosso, avendo inteso ch'egli era Romano. E, volendo sapere il maleficio del quale l'accusavano, l'ho menato nel lor concistoro. Ed ho trovato ch'egli era accusato intorno alle quistioni della lor legge; e che non vi era in lui maleficio alcuno degno di morte, nè di prigione. Ora, essendomi state significate le insidie, che sarebbero da' Giudei poste a quest'uomo, in quello stante l'ho mandato a te, ordinando eziandio a'  suoi accusatori di dir davanti a te le cose che hanno contro a lui. Sta' sano. I soldati adunque, secondo ch'era loro stato ordinato, presero con loro Paolo, e lo condussero di notte in Antipatrida. E il giorno seguente, lasciati i cavalieri per andar con lui, ritornarono alla rocca. E quelli, giunti in Cesarea, e consegnata la lettera al governatore, gli presentarono ancora Paolo. E il governatore, avendo letta la lettera, e domandato a Paolo di qual provincia egli era, e inteso ch'egli era di Cilicia, gli disse: Io ti udirò, quando i tuoi accusatori saranno venuti anch'essi. E comandò che fosse guardato nel palazzo di Erode.